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BRUN FINE ART
annuncia la sua partecipazione alla seconda Edizione di

ARTE E COLLEZIONISMO A ROMA

dal 20 al 23 settembre 2025

Palazzo Barberini
Stand 36

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COMUNICATO STAMPA

Brun Fine Art annuncia la Sua partecipazione alla seconda edizione di “Arte e Collezionismo a Roma” a cura dell’Associazione Antiquari d’Italia, che si terrà nella prestigiosa cornice di Palazzo Barberini – sede delle Gallerie Nazionali di Arte Antica – dal 20 al 23 settembre 2025. Attentamente curata e prestigiosa la selezione di Opere che saranno in Esposizione allo Stand 36 di Brun Fine Art, situato nella sala 98.

Tra le opere più prestigiose spicca l’”Allegoria dell’invidia” di Giuseppe Mazzuoli (Volterra, 1644-Roma, 1725), in Marmo di Carrara, del 1701. Cresciuto a Siena in una famiglia di scalpellini e architetti, Giuseppe Mazzuoli si forma a Roma presso Antonio Raggi e collabora presto con Gian Lorenzo Bernini in cantieri vaticani di primo piano, come quello della tomba di papa Alessandro VII, per cui realizza la figura della Carità. Unico scultore a traghettare il linguaggio berniniano oltre la soglia del 1700, Mazzuoli è l’autore di questa spettacolare e drammatica figura senile in marmo, un’allegoria dell’Invidia, colta nell’atto di strapparsi i capelli, mentre urla con disperazione.

L’opera faceva parte del monumento funebre dedicato a Carlo e Alessandro de Vecchi dai loro congiunti senesi. Collocato nella basilica romana dei Santi Apostoli tra il marzo e l’aprile del 1701, il complesso viene smantellato soltanto sette mesi dopo, in occasione dei lavori di rifacimento dell’intero edificio. Da quel momento si sono perdute le tracce della scultura fino al suo recentissimo, sorprendente, ritrovamento.
In esposizione poi un vero e proprio capolavoro inedito, la“Personificazione della Follia” del 1650-1660 ca., di Orfeo Boselli (1597-1677), scultore nato e vissuto a Roma in pieno Seicento, ossia negli anni in cui la scena artistica locale era dominata da Gian Lorenzo Bernini. Rispetto a quest’ultimo, Boselli è un nome ancora oscuro al grande pubblico, sebbene abbia rappresentato un assoluto comprimario del suo tempo. Il busto in questione, scolpito in candido marmo di Carrara, raffigura una donna con un curioso copricapo, formato da una veletta e da tre piume possenti, che si inarcano come serpi. A rendere l’immagine non meno sensuale sono la capigliatura vistosa, agitata dal vento, e la veste leggera, che lascia scoperto il seno sinistro. In tale figura, di sapore quasi esotico, Luca Annibali, Storico dell’Arte, vi riconosce una straordinaria personificazione della Follia, talora resa, infatti, come una donna con la chioma al vento, tre piume sul capo e abiti discinti. Nei manuali iconografici l’invenzione di tale immagine è attribuita a Ludovico Carracci, che così rappresentò la pazza risanata allo speco di Subiaco da san Benedetto negli affreschi presso il cortile dell’ex convento di San Michele in Bosco a Bologna. Si tratta di un’immagine, comunque, derivata dalla Vita et miracula sanctissimi patris Benedicti, repertorio di stampe incise da Aliprando Caprioli su disegni di Bernardino Passeri, ed edito a Roma nel 1579. Su chi possa aver commissionato questo busto dalle chiari connotazioni moraleggianti, da credere posto in una dimora nobiliare, sopra di una consolle, non è possibile esporsi alla luce dei dati in possesso. Il suo artefice, però, non può dirsi altrettanto avvolto nell’oscurità, perché l’esame stilistico suggerisce di riconoscere questo marmo sublime alla mano di Orfeo Boselli.

ADOLFO WILDT presente con Maschera di cesare Sarfatti del 1928, rilievo in bronzo, polito, cesellato e patinato, 44,7 x 32,8 x 19,4 cm su base postuma in marmo 52 x 42 x 2,8 cm.
Un fortunato ritrovamento ha permesso di abbinare questo bronzo all'opera esposta nel novembre-dicembre 1928 alla Prima Mostra Regionale d'Arte Lombarda della Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente a Milano.

Si tratta, tra i molti articoli d'occasione, di una recensione tanto dettagliata sulle due opere di Wildt da informarci fino sulla patinatura verde del Cesare Sarfatti in mostra con la Santa Lucia di marmo. Un dato di particolare interesse perché, diversamente dai contemporanei, Wildt in precedenza non praticava patinature verdi né tanto meno di un verde tanto intenso; prediligeva invece patinature brune e uniformi, tanto scure, lucide e polite da ricordare i basalti egizi.

Per l'interesse anche più generale sul clima dell'epoca e sull'allestimento, riportiamo a seguito il trafiletto per intero. "Molto opportunamente nella prima e più luminosa sala di quest'esposizione, tutta ben disposta, furono collocate al centro, due teste superbe di Adolfo Wildt e fra l'una e l'altra un ramo d'ulivo il ferro battuto, con le fronde piegate come fiamme sotto il vento, opera magistrale di Alessandro Mazzucotelli. Sono omaggi agli anziani che testificano il rispetto delle più giovani generazioni artistiche per quanti seppero segnare di una loro impronta geniale il duro cammino in un' epoca trista.
Le due maschere di Wildt, ci fanno dimenticare le ultime espressioni dello scultore milanese alle quali è mancata l'umile fortuna dei nostri suffragi.

Il Cesare Sarfatti altorilievo in bronzo verde, che occorre osservare da un determinato angolo visuale, giacché la parte sinistra del volto risulta deliberatamente schiacciata, insegna agli arcaisti contemporanei come si possa eseguire un ritratto plastico di romana potenza, con ispirito profondamente moderno risolvendo in sintesi di espressione umanissima le implacabili realizzazioni oggettive. Siamo veramente qui alla presenza di una persona (in senso latino) eternata con integrale comprensione, tattile e spirituale, cui non sappiamo quali offese potrebbero per avventura recare ulteriori sviluppi e conquiste della scultura moderna.

Alberto Neppi, "Il Lavoro d'Italia" Roma, 30 novembre 1928: è questo dunque il documento che permette, proprio per la segnalazione della patinatura verde - in realtà davvero evidente nell'acceso color verderame dell'ampia fronte - di identificare l'opera esposta nel '28 con questo bronzo, già di Amedeo Sarfatti, figlio di Cesare e Margherita, allora ventiseienne.

Della Maschera di Cesare Sarfatti è noto alla letteratura un primo bronzo commissionato nel 1927 dall'Istituto Stomatologico di Milano collocato in origine a muro nell'atrio del Padiglione dei mutilati del viso del quale Sarfatti fu il maggior finanziatore. Questo esemplare risulta disperso dai tempi della Seconda Guerra Mondiale.

Un esemplare in marmo, databile al 1930, rimase nello studio di Wildt, passò in eredità al figlio Francesco e quindi a Bruno, figlio di Francesco, ed è stato acquisito negli anni novanta del secolo scorso dalla collezione Calmarini di Milano.

Poiché nelle lettere di Margherita Sarfatti a Wildt non troviamo menzione di quest'opera - pur non potendo escludere una lacuna nella conservazione del carteggio - si potrebbe avanzare l'ipotesi di un diretto acquisto del ritratto del padre da parte di Amedeo stesso che lo collocò nella sua casa a Venezia dove l'opera è rimasta fino ai nostri giorni.

Parimenti non possiamo escludere l'ipotesi che il marmo, i cui termini ante e post quem sono il 1929 e il 1930, sia stato eseguito da Wildt per l'amica Margherita della quale nel 1930 aveva scolpito l'eccezionale ritratto. Sappiamo che Wildt morì nel marzo 1931 ma dal dicembre del '30 aveva sospeso la maggior parte degli impegni, sia per l'importante retrospettiva in corso alla Quadriennale di Roma che per la morte della moglie nel febbraio del 1931, così che il in marmo potrebbe essere rimasto nello studio.

Singolare risposta alla domanda critica e ufficiale di romanità, il Sarfatti ambiguamente accorda le intenzioni celebrative dei riferimenti stilistici alla ritrattistica imperiale (il famoso Vitellio) al più inquietante tema novecentesco e pirandelliano della maschera-persona, tanto più evidente in questo bronzo polito allo stremo, metafisico nella patinatura verde-azzurra, riflettente e vuoto da parer sospeso.

Artemide PR, comunicare con stile.
by Stefania Bertelli
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