MARIO SIRONI. SINTESI E GRANDIOSITÀ
A cura di Elena Pontiggia e Anna Maria Montaldo
Museo del Novecento
Piazza Duomo 8, Milano
dal 23 luglio 2021 al 27 marzo 2022
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Paesaggio urbano, 1925-28, o/t, Museo del Novecento
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COMUNICATO STAMPA
Il Museo del Novecento di Milano presenta “Mario Sironi. Sintesi e grandiosità”, una grande e approfondita retrospettiva che ripercorre l’opera del Maestro a sessant’anni dalla morte. La mostra, in programma dal 23 luglio 2021 al 27 marzo 2022, è curata da Elena Pontiggia e Anna Maria Montaldo, direttrice del Museo del Novecento, in collaborazione con Andrea Sironi-Strausswald (Associazione Mario Sironi, Milano) e Romana Sironi (Archivio Mario Sironi di Romana Sironi, Roma).
Oltre cento le opere esposte, che ne ricostruiscono l’intero percorso artistico: dalla giovanile stagione simbolista all’adesione al futurismo; dalla sua originale interpretazione della metafisica nel 1919 al momento classico del Novecento Italiano; dalla crisi espressionista del 1929-30 alla pittura monumentale degli anni Trenta; fino al secondo dopoguerra e all’ Apocalisse dipinta poco prima della morte.
La mostra, che ha sede negli spazi del Museo del Novecento e si estende anche nelle sale sironiane del Museo stesso e della Casa Museo Boschi Di Stefano, si avvale di prestiti dai maggiori musei italiani tra cui la Pinacoteca di Brera, Ca’ Pesaro e la Fondazione Guggenheim di Venezia, il MART di Trento e Rovereto e da collezioni private, riunendo così in un unico contesto i lavori più significativi del Maestro. Sono esposti, infatti, alcuni capolavori che non comparivano in un’antologica sironiana da quasi mezzo secolo (l’affascinante Pandora, 1921-1922; Paese nella valle, 1928; Case e alberi, 1929; L’abbeverata, 1929-30), e altri completamente inediti.
Ampiamente rappresentato in mostra è il ciclo dei paesaggi urbani, il tema più famoso di Sironi, che acquista intensità dopo il suo arrivo a Milano nel 1919 ed esprime sia la drammaticità della città moderna, sia una volontà potente di costruire, in tutti i sensi. Tra questi ci sono capolavori ben noti come Sintesi di paesaggio urbano, 1921; La cattedrale, 1921; Paesaggio urbano col tram 1925-28, del Museo del Novecento, esposto alla Biennale di Venezia del 1928; la Periferia del 1943.
Sironi però è stato anche un grande interprete della figura umana. Ne danno testimonianza in mostra un nutrito gruppo di opere, tra cui il pierfranceschiano Nudo del 1923, prediletto da Margherita Sarfatti; la misteriosa Donna con vaso del 1924; il Pescatore, 1925; La fata della montagna, 1928; la Niobide del 1931, e il doloroso Lazzaro, 1946, dove, per la prima volta nella millenaria iconografia del soggetto, Sironi dipinge un Lazzaro che non risorge, simbolo del crollo di tutte le sue idee, a cominciare dal fascismo in cui aveva creduto.
Ampio spazio è poi dedicato al suo legame con la pittura murale negli anni Trenta, di cui fu teorico e interprete. Presenti, capolavori monumentali quali la luminosa Vittoria alata, il gigantesco studio per l’aula magna della Sapienza di Roma, il visionario Condottiero a cavallo (tutti realizzati nel 1935) e il potente studio preparatorio, lungo quasi sei metri, della Giustizia Corporativa (1937-38).
Lasciata alle spalle la sezione dedicata alla pittura murale, il “viaggio” nell’arte di Sironi volge al termine nelle ultime sale che documentano i drammatici anni finali dell’artista, tormentato anche dalla perdita della figlia Rossana, che si toglie la vita nel 1948 a diciotto anni.
Ad accompagnare la mostra, un prestigioso catalogo realizzato della Casa Editrice Ilisso. Il volume, oltre al saggio introduttivo di Anna Maria Montaldo, riporta un ampio saggio e le schede analitiche di tutte le opere di Elena Pontiggia, studiosa dell’artista e autrice della sua prima biografia (Sironi. La grandezza dell’arte, le tragedie della storia, 2015), e inoltre gli approfondimenti di Fabio Benzi sul futurismo sironiano, e di Maria Fratelli, direttrice della Casa Museo Boschi Di Stefano, che esplora con lettere inedite il rapporto di Sironi con i collezionisti Antonio e Marieda Boschi.
La mostra, come tutte le esposizioni del Museo del Novecento, nasce da un progetto scientifico originale capace di restituire una inedita lettura dell’opera e della vicenda umana dell’artista.
“Mario Sironi. Sintesi e grandiosità” è parte de "La Bella Estate", il palinsesto culturale estivo promosso dal Comune di Milano che, fino al 21 settembre, proporrà ai milanesi e ai visitatori della città un ricco calendario di iniziative artistiche, culturali, sportive, ricreative e del tempo libero (programma in continuo aggiornamento su yesmilano.it/labellaestate).
BIOGRAFIA
Mario Sironi
(Sassari, 12 marzo 1885 - Milano, 13 agosto 1961)
Nato a Sassari nel 1885, da Enrico, ingegnere e architetto comasco, e Giulia Villa, fiorentina, Mario Sironi si trasferisce con la famiglia a Roma un anno dopo la sua nascita ed è qui che, a soli tredici anni, nel 1898, rimane orfano per la morte prematura del padre. Nel 1902, dopo studi tecnici, si iscrive alla facoltà di ingegneria, ma lascerà gli studi dopo solo un anno a causa di una crisi depressiva. Abbandonata l’Università, decide di dedicarsi all’arte e frequenta la Scuola libera del nudo di via Ripetta e lo studio di Balla, diventando amico di Boccioni e Severini. E sarà proprio con Boccioni che andrà in viaggio a Parigi nel 1906. Due anni dopo si reca per la prima volta in Germania, dove farà ritorno successivamente nel 1910-1911. È in questi anni che, nonostante le ricorrenti crisi nervose, inizia a dedicarsi all’illustrazione e alla pittura. Nel 1913 aderisce al Futurismo, dandone un’interpretazione soprattutto volumetrica. Allo scoppio della Guerra si arruola nel Battaglione Lombardo Volontari Ciclisti e poi nel Genio. Congedato nel 1919, si sposa a Roma con Matilde Fabbrini, con cui era fidanzato dal 1915. La coppia, che avrà due figlie (Aglae, nel 1921, e Rossana, nel 1929), si separerà nel 1932 e l’artista si legherà, tra alterne vicende, a Mimì Costa. Sempre nel 1919 si trasferisce a Milano, dove dipinge i primi paesaggi urbani. La sua pittura si orienta verso forme potenti e sintetiche, d’ispirazione classica, segnate però da una drammaticità moderna. Margherita Sarfatti è tra i primi critici a segnalarlo. Risale ancora al 1919, la sua adesione al fascismo. Dal 1921 disegna illustrazioni per il “Popolo d’Italia”, il quotidiano politico italiano, fondato da Benito Mussolini che nel 1922 diventerà l'organo del Partito Nazionale Fascista, con cui collabora fino al 1942 (dal 1927 al 1931 anche come critico d’arte). Nel 1922 è tra i fondatori del Novecento Italiano e con questo gruppo, animato dalla Sarfatti e sostenitore di una “moderna classicità”, espone in tutte le principali rassegne in Italia e all’estero, difendendone le ragioni quando, nel 1931-1933, viene colpito da accese polemiche. A partire dagli anni Trenta, però, Mario Sironi si concentra soprattutto sulla pittura murale, divenendo il maggior teorico e artefice del ritorno alla decorazione classica e pubblicando il Manifesto della pittura murale, firmato anche da Campigli, Funi e Carrà (1933). Il 25 aprile 1945 sta per essere fucilato ma riesce a salvarsi grazie all’intervento di Gianni Rodari, partigiano, ma suo estimatore. Il crollo dei suoi ideali politici e l’angoscia per la morte della figlia Rossana, che si uccide diciottenne nel 1948, lasciano un forte segno nella sua pittura, in cui la tensione costruttiva viene incrinata da un senso di frammentarietà, come testimoniano i lavori dei suoi ultimi anni. Parallelamente, la sua salute diventa sempre più precaria e si spegne a Milano nel 1961.
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